Filosofia della Spagyria: Mercurio vegetale – Vischio (approfondimenti)

“Il nome Vischio è stato dato ad una pianta parassita della famiglia del caprifoglio (Lorantacee), che vegeta su certi alberi, come la quercia, il pioppo, il castagno, il pero, il melo ecc., formando dei ciuffi verdi, le cui fibre sono più o meno consistenti. Un tempo si appendevano mazzetti di questa pianta al di sopra della porta delle locande, specie in certe zone delle Fiandre e della Piccardia. I nostri contadini hanno per il Vischio una particolare venerazione: pallido riflesso di una lunga sequela di secoli di rispetto per l’albero su cui cresce, segnacolo scelto dalla Provvidenza per stringere alleanza con l’uomo. L’antico profeta, cercando l’ « uomo di Dio », lo trovò seduto sotto una quercia (I Re, XIII). Questa venerazione ha origine nell’antica e augusta religione druidica. Dopo la conquista [cristiana], il popolo – male informato sul vero carattere dei sacerdoti galli allora perseguitati, banditi ed obbligati a celebrare segretamente i propri Misteri –, scagliò le perfide accuse di magia, sortilegio e incantesimo che invece erano pratiche libere tra i druidi.

Questo pregiudizio nel corso del tempo si è radicato così profondamente che in certi posti non si osano mangiare i frutti degli alberi su cui vegeta il Vischio, per tema di restare avvelenati. E’ così che è stato anche chiamato scopa delle streghe e ramo degli spettri.

I boschi sacri furono i luoghi primevi di ogni celebrazione religiosa. Abramo piantò un bosco perché gli facesse da ritiro meditativo, e fondò la sua religione in una querceta (Genesi XVIII, 1, 4 e XXI, 33).
Giosuè, quando vergò il libro delle Leggi di Dio, « prese una grossa pietra e la raddrizzò ai piedi di una quercia che era il Santuario del Signore » (Giosuè, XXIV, 26). Isaia ci racconta che Dio disse a Giuda « che aveva scorno per la quercia che lui aveva desiderato » (Isaia, I, 29). Il bosco era anche una necessità del culto reso agli Dei (Diodoro Siculo, l. XVII – Quinto Curzio, l. IV, c.73 – Strabone, l. VIII).
Pindaro ci mostra Ercole che pianta querce sacre. Nelle Indie, querce ed olivi si piantano in luoghi sacri.
I Bretoni avevano la massima venerazione per i boschi di querce, nel cui ambito ponevano le vestigia più sacre della loro religione (Lucano, l.III).
La cerimonia mensile aveva luogo quando la luna era al sesto giorno mentre riti particolari erano compiuti in giorni specifici, come riferisce un antico poema, citato dal Davies: « una cantica dal significato misterioso veniva composta dall’eminente Ogdoade, riunita nel giorno della luna, e recitata in processione… ».
Queste vecchie costumanze furono senza alcun dubbio all’origine di quelle feste celebrate ovunque in Inghilterra fino a tempi recenti, nello stesso periodo dell’anno1.

Quando questo culto, nel corso del tempo, divenne unicamente idolatrico, e quando i boschi servirono per il compimento di pratiche orribili e abiette, ci fu la condanna celeste.
Fu proibito agli Israeliti di piantarne e vennero obbligati a distruggere quelli che trovavano nei territori sottomessi.
Fu questo il peccato abituale dei re d’Israele e sta scritto che fu Achab che provocò la collera del Signore più di tutti i suoi predecessori per avere, oltre altre iniquità, consacrato un bosco (Deuteronomio XVI, 21 – Osea IV, 12, 13, 14 ecc.).
I Kadeshusth della Bibbia o Kadeshim ebrei o Galli « vivevano nella casa del Signore dove le donne lavoravano alla cura del bosco sacro », cioè adoravano l’effigie di Venere-Astarte (II Re XXIII, 7).
Nel culto di Astarte o Asthoreth si compivano gli atti più abominevoli e la prostituzione più abietta (Stubb: Anatomie of Abuses, 1595).
La parola ebraica ASTRK, Ashtarach, e la celtica Aistareacht hanno lo stesso significato: lubricità, lascivia. Nei riti del culto, la Luna assolveva a due funzioni; exotericamente veniva personificata come un dio maschio. Ma, maschio o femmina che fosse, Thot, Minerva, Soma o Ashtoreth, la Luna è il Mistero occulto di tutti i Misteri e, bisogna dirlo, più malefici che benefici.
Le sue sette fasi venivano divise in tre fenomeni astronomici e in quattro puramente psichici2.

Tra i Galli, il Vischio era considerato l’emblema di tutto ciò che esiste, e compendiava una dottrina organica, la dottrina della vita in tutte le sue manifestazioni. In primo luogo, nell’Universalità dell’Esistenza; in secondo nell’Umanità intera; infine, nell’Individuo, wy è l’esistenza certa, l’eterna verità. Grammaticalmente, wy equivale a noi, essi, cioè la generalità. Questa parola è ancora in uso come segno affermativo, per significare ciò che esiste, ciò che è vero. Lo ritroviamo in francese nella forma eufonica oui [sì] che equivale appunto a wy. In gran parte del Belgio meridionale, nei circondari di Avesnes, di Valenciennes ecc., i contadini dicono: wy e ah wy, per dire oui; wy-da, wy-dee, wy-deun per dire Dio vero. Wy-d significa il non-misurato, lo spazio infinito, senza limiti; ewig sta per eterno e wy-f, donna, colei che porta in dono e determina la vita. Come simbolo della vita manifestata nell’universalità degli esseri, il Vischio fu la vivente immagine della forza che anima e governa il mondo e per suo mezzo l’uomo comunicava con Dio.

Si componeva con questo Wy [Vischio] una misteriosa pozione che aveva la proprietà di creare uno stato psicologico particolare, di cancellare temporaneamente tutte le impurità dell’anima, di porre l’anima in rapporto con lo spirito, di guarire molti mali. Sublime immagine della purezza del cuore quand’esso ha potuto comunicare spiritualmente con COLUI che sempre è stato, che è e che sempre sarà in eterno.
La cerimonia di comunione, tanto sublime quanto pittoresca, era seguita dal sacrificio e dal pasto.
Era la prima annunciazione del nutrimento fraterno, quella che è la nostra Eucarestia.
Plinio, per quanto considerasse tale cerimonia una pura superstizione – non avendone considerato che la lettera morta senza darsi conto di cercare il senso religioso e filosofico –, scrive (giustamente) che il Vischio era considerato come un regalo celeste e che i sacerdoti che ne celebravano la consacrazione erano considerati come i medium dell’Essere supremo.
Questo autore descrive la solenne cerimonia: « Questa comincia alla sesta ora; inizia con la ricerca di una quercia col Vischio, occasione alquanto rara.
Quando la si è trovata, il sacerdote sacrificatore, vestito di bianco, sale sull’albero e con un falcetto d’oro taglia la pianta che viene riposta in un mantello bianco.
Nel frattempo, si allestisce il sacrificio ed il banchetto ».
Quest’ultimi con la bevanda misteriosa sono altrettanti simboli che tolgono ogni dubbio sull’oggetto della cerimonia.
E’ la comunione dell’iomo con l’umanità e dell’umanità con Dio.
E’ il predecessore dell’Eucarestia essena, salica e mazdea.

Il « Sonno Sacro » degli Iniziati rivelava molte verità, e gli Oracoli erano ben noti fin dalla più remota antichità.
In Oriente, questa sublime estasi era chiamata « Sonno sacro di Sialam », una sorta di oblio in cui cadeva il soggetto grazie a certe pratiche magiche, coadiuvate dall’assunzione di succo di Soma.
Il corpo veniva a trovarsi in uno stato di transe e, purificato momentaneamente della sua terrestricità, diventava il ricettacolo illuminato dell’immortale Dio dell’Uomo ― l’IDEALE o Spirito Divino.
L’iniziato diventava allora un oracolo ben più infallibile della vecchia pitonessa delfica, poiché lo SPIRITO gli parlava direttamente, e la Divina Verità poteva essere solo proferita, poiché questa viene concessa a coloro che si son mostrati degni di essere ammessi alla presenza del SACRO ADONAI.
Questa bevanda sacra è la stessa cosa dell’ambrosia dei Greci, del nettare degli Dei dell’Olimpo, di quel Ciceone bevuto a lunghi sorsi dagli Iniziati di Eleusi, dell’Hom o albero di immortalità dei Persiani il cui succo conferiva l’immortalità, così come lo descriveva Zoroastro. Paragoniamo a tutto ciò quello che Gesù Cristo diceva ai suoi discepoli: che « non avrebbe bevuto più del frutto della vite, se non nel giorno in cui l’avrebbe bevuto con loro nel Regno del Padre » (Matteo XXVI, 29).

Questi sacri beveraggi facevano dell’Iniziato un « uomo nuovo »; rinato, trasformato, la sua natura spirituale superava quella fisica, riceveva il potere dell’ispirazione e le facoltà chiaroveggenti; in tal modo questa sacra bevanda univa l’INTERNO, lo SPIRITO supremo dell’uomo, con il suo corpo astrale, e tramite questa unione divina, l’Iniziato partecipava ancora vivente alle beatitudini e alle glorie celesti.
Lo spirito e l’anima venivano così temporaneamente riuniti mediante questa comunione ―, si consumava il matrimonio divino dei due fidanzati e tramite la loro propria natura ed essenza, ricevevano l’onniscienza, sebbene alla sola anima venisse concesso il ricordo di certe cose; è ciò che faceva l’Iniziato, uscendo da questa specie di sacro delirio.

Wy significa vita manifestata nell’umanità, simbolo della saggezza incarnata, del Verbo fatto Carne. Nel linguaggio comune, significa saggezza, castità, purezza, ciò che è sacro, benedetto o consacrato. Wyshed, Wyshnu, è invece la seconda persona della Trinità indù…

Dio, creata l’umanità, la benedì, santificò e sacralizzò. Wy, applicata alla vita manifestata nell’individuale, divenne il simbolo delle istituzioni sociali.
Rappresenta l’inquieto guardiano nell’uomo che illumina e dirige il suo compagno sul sentiero della Provvidenza, dal lato della loro comune felicità: « Aiutati che Dio ti aiuta ».
E’ questa la parte assegnata alla terza ipostasi divina. Wy è uno nella sua universalità, è il wy-n della vita —, ma è triplice nel suo significato. E’ l’attività costante, il creatore universale, eterno, incessante, è tutto amore, fraternità umana, tutta conoscenza, intelligenza umana.
L’uomo è creato a immagine di wy, è ancora uno nella sua essenza, ma triplice nella sua manifestazione, è sensazione – sentimento – intelligenza, uniti indivisibilmente ed estrinsecati simultaneamente.
E’ così che, in linguistica, wy è il Nous, Ego, il Tutto è in tutto, il segno radicale dell’inviolabilità, della consacrazione, di ciò che è sacro per eccellenza. Wy, come oui, non viene più usato nel linguaggio dei paesi nordici come segno affermativo, viene sostituito da un monosillabo dello stesso valore, ia. Ia in gallo-morino o antico fiammingo, così come in fiammingo moderno, è il segno dell’affermazione e si traduce con oui.
Per metatesi, ia diventa ai. Questa ai è restata finora in uso tra i contadini della Fiandra francese ecc., per i quali è assolutamente sinonimo di oui. In inglese, è impiegato come pronome della prima persona, anche se la a è scomparsa: I.
Malgrado ciò si dà a questa I il suono ai — per gli Scozzesi aye — ma per quanto questa ai venga considerata come un dittongo, essa forma un unico suono, nella forma Ies, ed equivale a oui; ma l’inglese è un ramo moderno del gallo – celto – germanico in cui la I semplice si comporta come ia e ie. Ies è il ramo di Jessé l’isseno o esseno, Iesus ecc.

Ia, considerato come affermazione, l’essere manifestato nella natura, è diventato un celebre mito orale tra gli Ebrei, i cui simboli non sono mai degli oggetti della Creazione, sibbene dei segni grafici.
Ia forma il passato e il futuro del verbo essere; si inscriveva in un cerchio, come wy, l’essere attuale, o da un altro punto di vista l’eternità, perché il presente esiste sempre e non può mai cessare d’esistere; per questo contiene il passato e il futuro collegandoli l’uno con l’altro: come semplice punto non è niente eppure è tutto perché è la vita3.
Una allegoria tanto semplice quanto efficace lo dimostra. Si può anche fare riferimento al simbolo IoA, cioè il passato e il futuro riuniti nel presente; IoA è il nome di Dio tra gli Ebrei, cosa che non va dimenticata. Questo termine IeOvAh, così come lo si dovrebbe più o meno pronunciare, equivale in francese a oui, segno affermativo.
Ia, nelle lingue nordiche, è anch’esso segno affermativo come wy, yes e yea. Usato come pronome personale della prima persona, è in francese IE o moi, in inglese I, in fiammingo IK, in tedesco ICN, in latino Ego. Wy al contrario è un pronome personale plurale, equivalente a nous [noi]: totalità o collettività di individui.

Possiamo ora constatare che ia è la forma del passato e del futuro.
Se vi si aggiunge la desinenza latina, si ha Janus, il Dio dei Salii.
Il nuovo Giano era raffigurato con due volti, uno guardante all’indietro, verso il passato, e l’altro avanti, verso il futuro.
Giano reggeva tra le mani le chiavi del Regno, una che chiude al passato e l’altra che apre al futuro.
Queste chiavi rappresentavano la O di IoA, e l’insieme della sua figura rappresentava molto bene la formula IA.
Giano è lo stesso di Giona ed è per questo che Simon-Pietro, il portavoce della vera dottrina, è detto « figlio di Giona ».
Giano è il guardiano, come, nella tradizione cattolica, Pietro, che ha ricevuto le chiavi del regno dei cieli.
In quei tempi lontani l’anno cominciava il 21 Marzo; ma tutti sanno che, in seguito, tra i Romani, il mese di Gennaio venne consacrato al Dio di cui porta il nome.
Il primo Gennaio chiudeva l’anno trascorso e inaugurava quello nuovo. Il momento della separazione assoluta non esiste, perché il passato ruota con il futuro attorno al cerchio eterno del presente sempre nuovo; solo Dio è presente ovunque, ordinando da tutta l’eternità il passato e l’avvenire.
IA, IoA, OAI, sono forme di vita; OAI si ritrova nell’ebraico HOEH, essere. EH ha il valore della e grave come ai, Wy e JehOvAh, nomi dell’Essere supremo, veli dei più profondi misteri psicologici tra Galli ed Ebrei.

Gli Orientali hanno sostituito la pozione fatta con il Vischio con il succo spremuto del Barsom, che hanno chiamato Guytama, termine che ha gli stessi significati religiosi.
I sacerdoti Salii preferivano servirsi dell’alimento comune di cui si nutrivano generalmente gli uomini: pane e vino erano gli elementi liturgici per eccellenza che, dopo esser stati consacrati, erano ritenuti possedere nella loro stessa sostanza, il corpo e il sangue del dio Giano, come afferma il rituale dei Salii. Già si è detto chi fosse questo dio.

Nel VI libro del poema di Virgilio si trova, fatta dalla Sibilla, una descrizione di questa pianta, quando consiglia ad Enea di munirsene, in previsione della sua discesa nell’Amenti, il purgatorio, luogo di purificazione delle anime.
Il brano è fin troppo noto per essere citato; tutti gli episodi, in particolare quello in cui la Colomba aiuta i viaggiatori a trovare il misterioso ramo d’oro, possiedono un alto significato4.

Le correlazioni degli antichi miti sono assai ingegnose ed istruttive nel loro significato esoterico; ogni mito ha il suo significato: il brano precedente né è la prova.
La « discesa all’Ade » simboleggia l’inevitabile destino di ogni anima, unita temporaneamente ad un corpo terrestre.
Questa unione, fosca prospettiva per l’anima « che agogna alla liberazione » dalla prigione di carne, era vista come una punizione da tutti gli antichi filosofi. Il precedente passaggio dell’anima attraverso il Lethé — fiume dell’oblio — simboleggia anche la continuità del nostro incatenamento alla materia, le nostre reincarnazioni, perdita temporanea del ricordo delle nostre antiche forme d’esistenza.
A quest’ultimo fatto si riferiscono più particolarmente le precedenti allegorie, in riferimento al soggiorno dell’anima in un luogo di purificazione — Kama-Loka degli Orientali, Purgatorio cattolico, Amenti egiziano —.
L’allegoria e la simbologia furono i due guardiani gemelli di tutte le religioni.
Le verità della prima sono state esposte, così come le proprietà astratte della divinità, espresse dsalla seconda. I non-iniziati possono dunque assimilare perfettamente tutti questi insegnamenti.

Tra i Galli il matrimonio veniva considerato a buon diritto come un atto molto importante.
Essi celebravano l’unione di un uomo con una donna con la stessa solennità usata per la raccolta del Vischio, simbolo della solidarietà umana e di immortalità. Nella consacrazione del matrimonio, parenti e amici dello sposo e della sposa prendevano parte al sacrificio e al banchetto.
La benedizione del Vischio, la partecipazione della nuova coppia alla bevanda misteriosa, erano simbolo dell’unione dei sessi sulla terra, e dell’unione dell’anima e dello Spirito nella Vita celeste, in luogo della comunione universale.
Plinio, benchè consideri tali cerimonie come superstizione, ne ha conservato il nome: Viscus, parola impiegata a quell’epoca dai Galli per designare l’amore e la castità, le due qualità necessarie e richieste rispettivamente ad ognuno degli sposi.

Questo Viscus è il Wiskus gallo-morino latinizzato. Già sappiamo che Wis significa saggezza, virtù, modestia, castità, purezza.
Kuss significa bacio, nel senso di unione, pace, concordia, riconciliazione, amore reciproco. Esclusa ogni idea di sensualità.
La cerimonia del Wiscus era dunque l’Unione dell’Amore e della Purezza. Quali parole possono più di tutte caratterizzare l’atto del vero Matrimonio?
La giovane coppia non è forse compenetrata da un amore reciproco e non possiede forse la purezza?
Non sono, se così si può dire, degli ospiti installati nella propria casa, per compiere scrupolosamente la missione che hanno accettato?
L’unione dell’uomo e della donna non è allo stesso tempo l’immagine più elevata ed espressiva della comunione di tutta l’umanità con lo Spirito?
Il profondo rispetto dei Galli per il matrimonio non ci deve più stupire ora, non meno dei teneri sguardi con cui avvolgevano la donna, la sposa, degna, coraggiosa e nobile compagna dell’uomo.
Si può trovare, in qualche popolo antico, una donna così libera e così profondamente attaccata al suo sposo, e uno sposo così fedele e così nobilmente devoto alla sua donna?
Lo si poteva trovare nel paese felice5; la donna non era, come quasi ovunque, una schiava, ma la compagna, a volte eroica, dell’uomo.

« La definizione di uomo non può essere data che ad un uomo e a una donna uniti come un sol essere », recita lo Zohar.
Dio stesso, Padre e Madre, ha creato a sua immagine; e ogni uomo così come ogni donna costituiscono una dualità che va a completare e perfezionare la personalità angelica o umana.
Dio crea l’uomo a sua immagine; li crea maschio e femmina (Genesi, I, 27), Androgini (Genesi II, 21-22; Apocalisse XXI, 9 ecc.).
Sforziamoci di ritrovare il nostro primitivo androginato, ma fuggiamo come peste questa filosofia perversa che cerca negli abbracci carnali l’unione e la beatitudine sacra riservata alle sole anime gemelle. Le anime sono nate in coppia; l’amore assoluto unisce le anime gemelle quando queste si ritrovano.

In gioventù dovrai cercare l’Anima Gemella e, se ne sei degno, Dio ascolterà la tua preghiera, e la incontrerai.
CercaLa con fede, amaLa (sia che la trovi o non la trovi in questa vita), amala oltre la forma e oltre la carne.
Il timore di restare solo, tormento senza nome, non vi consumerà se la vostra speranza si alimenta di questa ineffabile consolazione.
Come avanziamo sulla destra di Dio, così dobbiamo tornare nel Suo splendore, dopo aver acquisito il merito di esserci ricreati, con la volontà.
Cristo ci ha detto che l’ultimo sarà il primo, e la manifestazione spirituale della sessualità è il desiderio d’unione dei due principii.
Da parte maschile, questo desiderio ha cessato di esistere, se non come espressione simpatica di una condizione femminile, la Divina Unione dell’Anima e dello Spirito, o delle due metà dell’Anima una, che è il vero accordo.

C’è qualcosa di più giusto e di più sorprendente per l’intelligenza e il cuore di un popolo del matrimonio reale, in grado di assolvere i doveri e praticare le virtù meglio di una sposa perfetta? Queste idee sono state così ben comprese dagli abitanti dell’Europa Occidentale che fino a questo momento se ne ritrova una profonda traccia in Fiandra e in Olanda, in cui il popolo, abbandonando i vecchi termini Wy e Wiscus, li ha sostituiti con un equivalente moderno: Marren-Takken.
Questo nome viene assegnato al Vischio e significa, esattamente, avvinto, unito, legato, mescolato, diventato un tutto.
E’ la fraterna unità che tutti gli uomini — rami dell’umanità, membri di Cristo — devono cercar di realizzare mediante simpatia, fratellanza, saggezza e virtù.
E’ il Mar, Marren, da cui deriva marito.

I Latini, studiando le basi politiche, religiose e filosofiche dell’antica Gallia, non hanno scorto nel rituale del Vischio la sua applicabilità a quello del matrimonio.
Essi non considerarono se non le forme che ritennero superstiziose o idolatriche, proprio loro, il popolo più superstizioso e idolatrico del mondo.
Non comprendendo, nel loro complesso, che l’esteriorità adatta al politeismo, non potettero apprezzare l’intensa vitalità della religione intellettuale e simbolica degli antichi Druidi.
Dispiace che autori peraltro raccomandabili come Plinio non abbiano pensato di poter scoprire il significato nascosto di Wiskus.
Si accontentarono semplicemente di tradurre e deformare; il loro Viscus, perse gradualmente il suo significato vero.
Venne anche talmente alterato da esser riferito alle sostanze glutinose, molli, polpose; questo tuttavia ha una certa affinità fisica con il significato primitivo del termine: unito, legato.
Del resto, con le bacche del Marry-Taken preparate in una certa maniera, noi prepariamo una specie di pasta che ha la proprietà di saldare gli oggetti con cui vengono posti a contatto.
Questa sostanza è la pania; e dal primitivo Viscus, sono derivati viscosità, vischioso ecc.

I primi cristiani non si sgomentavano troppo del martirio; essi agognavano la vita futura.
Noi dimostreremo più avanti che il Vischio fu anche il simbolo della Fecondità, l’Elisir di Vita, così come fu, dal punto di vista strettamente medico, in mano ai Druidi, il rimedio sovrano contro la Sterilità.

Il Vischio simboleggia anche lo sperma spirituale e luminoso della vita, che cade dalle regioni della Via Lattea, embrione animico, Ego divino.
Esiste nella regione di 5 come vapore luminoso, fortunato, sereno, null’altro conoscendo che la felicità.
Ma discende di sfera in sfera, invischiandosi sempre più nella materia6.
Ad ogni incarnazione, sviluppa un nuovo senso organico, analogo alla sfera che abita.
L’energia vitale aumenta in proporzione alla sua incorporazione materiale; perde il ricordo della sua origine celeste.

E’ così che si compie la « Caduta » dell’Anima, discendendo l’Etere Divino. Sempre più catturata dalla materia, sempre più intossicata di vita, si precipita verso la terra come pioggia ignea, fremendo di voluttà; attraversa le sfere dell’angoscia, delll’amore e della morte giungendo in questa prigione materiale, dove noi così spesso piangiamo la nostra condizione, trattenuti dal nucleo igneo del pianeta, fuoco cagione di lacrime e stridor di denti — ma che non è quell’inferno teologico descritto dai nostri ecclesiastici — e che fa che la Vita divina appaia a tanti nostri fratelli come un vano fantasma.” ( Il Vischio, gli antichi Celti e i Druidi – prima traduzione italiana dell’edizione francese di Le Gui et sa Philosophie (1893))

Peter Davidson

1 La data era stabilita dalle fasi della luna e le quattro assemblee più solenni avevano luogo quando il sole giungeva nei punti equinoziali e solstiziali che, da 4.000 anni circa, corrispondono ai nostri 1° Maggio, 19 Agosto, 1° Novembre e 13 Febbraio.

2 [Queste ultime righe sembrano essere incomplete e corrotte già nel testo tradotto dal Sédir].

3 Cfr. Sepher Bereschit, II, 9 (nota di P. Sédir).

4 Colomba, Columba, in ebraico Ionah.
Ciò è altamente misterioso.

5 La Gallia veniva chiamata dai suoi abitanti Walland: wal, felice, e land, paese.

6 [Nel testo francese: acquérant des enveloppes de plus en plus matérielles. Ci pare questo uno dei rari casi in cui un traduttore non tradisce il testo, ma può addirittura impreziosirlo].”(Le Gui et sa Philosophie (1893)